AUTOLESIONISMO IN ADOLESCENZA
Le definizioni di questa problematica diffusa soprattutto in età adolescenziale ma anche nell’infanzia, sono state inserite per la prima volta nel Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5 (APA, 2013) sotto le categorie diagnostiche di “Autolesionismo non suicidario” (NSSI: not suicidal self injury) e “Autolesionismo non suicidario non altrimenti specificato” (NSSI-NAS).
I criteri per la diagnosi di autolesionismo sono i seguenti:
Criterio A: Nell’ultimo anno, in cinque o più giorni, l’individuo si è intenzionalmente inflitto danni di qualche tipo alla superficie corporea inducendo sanguinamento, lividi o dolore (per es. tagliandosi, bruciandosi, accoltellandosi, colpendosi, strofinandosi eccessivamente), con l’aspettativa che la ferita porti a danni fisici soltanto lievi o moderati (non c’è intenzionalità suicidaria).
Criterio B: L’individuo è coinvolto in condotte autolesive con una o più delle seguenti aspettative:
- Ottenere sollievo da una sensazione o uno stato cognitivo negativi;
- Risolvere una difficoltà interpersonale;
- Indurre una sensazione positiva
Criterio C: L’autolesività intenzionale è associata ad almeno uno dei seguenti sintomi:
- Difficoltà interpersonali o sensazioni o pensieri negativi, come depressione, ansia, tensione, rabbia, disagio generalizzato, autocritica, che si verificano nel periodo immediatamente precedente al gesto autolesivo;
- Prima di compiere il gesto autolesivo, presenza di un periodo di preoccupazione difficilmente controllabile riguardo al gesto che l’individuo ha intenzione di commettere.
- Pensieri di autolesività presenti frequentemente, anche quando il comportamento non viene messo in atto.
Il fenomeno in Italia è ancora poco indagato: uno studio italiano ha analizzato un campione di 234 adolescenti ed ha riscontrato una prevalenza del comportamento di autolesionismo del 42% (Cerutti et al., 2011).
Ma perché un adolescente arriva a danneggiare se stesso infliggendosi dolorose ferite?
Un importante lavoro italiano di raccolta dei fattori di rischio, condotto da Portatadino, Bergomi, Maiandi (2019) gli autori sottolineano come le condotte di autolesionismo emergono in seguito all’ interazione tra fattori genetici, biologici, psichiatrici, psicosociali, sociali e culturali: i problemi relazionali, in particolare con membri della propria famiglia, sono estremamente comuni tra gli adolescenti autolesionisti (Hawton et al., 2012) che spesso sono altresì vittime di abusi emozionali, fisici e sessuali (Madge et al., 2011), di bullismo ed in particolare di cyberbullismo (Hinduja and Patchin, 2010). Risultano altrettanto frequenti i disturbi psichiatrici come la depressione, l’ansia, sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), i disturbi alimentari (Hawton et al., 2013) che esacerbano i comportamenti autolesivi specie in presenza di amici in cui è già consolidata tale pratica (Hawton et al., 2002; McMahon et al., 2013; O’Connor, Rasmussen and Hawton, 2014). Dalla letteratura presentata sembra che l’autolesionismo aumenti sensibilmente il rischio suicidario specialmente nei giovani maschi: il rischio aumenta maggiormente in coloro che ripetono più volte atti contro se stessi specialmente in chi si procura tagli (cutting) (Hawton et al., 2012). L’analisi della letteratura suggerisce una sostanziale omogeneità nell’affermare che la famiglia e il gruppo dei pari rappresentano uno tra i principali fattori di rischio, soprattutto quando veicolano o incentivano condotte non educative. Altro fattore da considerare in modo significativo è l’utilizzo di internet e dei social network in particolare se utilizzati in modo inappropriato, per lungo tempo e navigando su siti che incitano all’autolesionismo. (Portatadino, Bergomi, Maiandi, 2019).
Quali sono i disturbi psichiatrici che maggiormente correlano con condotte autolesive?
Un ulteriore studio italiano che ha coinvolto l’Università di Padova e Azienda Ospedaliera ULSS6 Euganea ha sottolineato come “il self-cutting (tagliarsi) correla con un’ampia varietà di quadri psichiatrici, senza presentare legami specifici con una particolare categoria psicopatologica. Gli elementi di alessitimia, impulsività e difficoltà relazionali degli adolescenti self-cutter dicono di come la programmazione di interventi di prevenzione primaria e secondaria dovrebbero mirare alla psico-educazione all’affettività, all’autocontrollo e alle social skills. I dati di questo studio suggeriscono che la focalizzazione dell’intervento, in termini di lavoro sull’emotività piuttosto che sulla socializzazione, dovrebbe tener conto della frequenza degli agiti. Nella gestione clinica di questi pazienti non va esclusa a priori la possibilità di passaggio all’atto suicidario, con relative attenzioni anamnestico-cliniche da avere sia al momento della valutazione diagnostica sia lungo il follow-up della presa in carico” (Gatta, Spoto, Miscioscia, Valentini, Donadel, Del Col, Zanato, Traverso, Ferruzza, 2019).
Quali comportamenti rientrano della definizione di autolesionismo?
Alcune ricerche condotte da Favazza e colleghi hanno reso possibile una prima classificazione delle condotte autolesive. In particolare Favazza e Rosenthal (1993) hanno identificato diverse tipologie di autolesionismo sulla base del grado di danneggiamento dei tessuti e dei pattern comportamentali.
- L’autolesionismo maggiore consiste in atti infrequenti e isolati che provocano un danneggiamento dei tessuti grave e permanente; solitamente è associato alle psicosi o alle intossicazioni acute e include atti quali la castrazione e l’enucleazione oculare.
- L’autolesionismo stereotipico comprende comportamenti ripetuti in modo costante e ritmico, che sembrano essere privi di un significato simbolico, comunemente associati a grave ritardo mentale, all’autismo o alla sindrome di Tourette; ne sono esempi il mordersi o dare colpi con la testa.
- L’autolesionismo moderato o superficiale consiste in atti episodici o ripetuti a bassa letalità che comportano un lieve danneggiamento dei tessuti corporei (tagli, bruciature, abrasioni). Il soggetto utilizza strumenti esterni come rasoi, lamette, forbicine e compie gesti autolesivi che solitamente hanno un significato simbolico, in genere relazionale (ad esempio tirarsi i capelli, mangiarsi le unghie, tagliarsi, bruciarsi, colpirsi).
Quali potrebbero essere le cause dell’autolesionismo?
L’autolesionismo può costituire una strategia di coping (risoluzione di una sofferenza) e regolazione emotiva: di fronte allo stato emotivo indesiderato e vissuto come intollerabile, il soggetto si ferisce fisicamente per distogliere la sua attenzione dallo stato psichico che causa sofferenza. La sofferenza fisica, infatti, viene percepita dal soggetto come più tangibile e quindi più controllabile. (Chapman et al., 2006; Klonsky, 2007; Kamphuis et al., 2007).
Altra funzione dell’autolesionismo è la punizione autoinflitta: sembra infatti che, per alcuni soggetti vi sia una forte relazione causale tra l’autocriticismo (e il perfezionismo come tratto di personalità) e i comportamenti autolesivi (Nock et al., 2008; Hooley & St Germain, 2013). Le condotte autolesive posso fungere anche come mezzo di comunicazione della propria sofferenza interna, in mancanza di abilità sociali-comunicative adeguate (Klonsky, 2007).
Nella presa in carico di un soggetto che pratica condotte autolesive va considerato che le condotte autolesive costituiscono fattori di rischio significativi per il suicidio (Klonsky e coll., 2013).
Risulta importante quindi che la presa in carico comprenda non solo l’adolescente ma la famiglia circostante e tutti i principali ambienti di vita del ragazzo (famiglia allargata, medico di base, scuola, gruppo sportivo, ecc.), al fine di creare una rete di supporto consistente.