Nell’ambito delle problematiche evolutive, risulta molto difficile porre una diagnosi precoce nei bambini in età prescolare, specialmente se ci troviamo di fronte al Disturbo da deficit dell’Attenzione e dell’Iperattività (ADHD), questo a causa della grande variabilità dei comportamenti osservabili, della pervasività e gravità dei sintomi che emergono nei bambini durante i primissimi anni di vita.
Nelle prime fasi dello sviluppo del bambino, risulta infatti complessa la distinzione tra quelli che possono essere segni iniziali di una situazione problematica e le caratteristiche di immaturità proprie di una condizione momentanea e transitoria destinata a risolversi spontaneamente con il tempo.
Tutto ciò, ha determinato il fatto, che le ricerche in questo ambito si concentrassero prevalentemente sull’età scolare, nonostante i primi sintomi siano identificabili fin dalla prima infanzia.
Questo ha determinato di conseguenza il rischio di una diagnosi tardiva, la possibilità di un aggravamento dei sintomi e l’insorgenza di problematiche correlate, come ad esempio disturbi dell’apprendimento o difficoltà nelle relazioni sociali con i pari ma anche con l’adulto.
Con il termine ADHD si identifica una triade di sintomi: disattenzione, impulsività e iperattività.
Tali sintomi si manifestano nel bambino come difficoltà di attenzione e di concentrazione, incapacità nel controllo degli impulsi e del livello di attivazione motoria, generali difficoltà nella regolazione del proprio comportamento in funzione degli scopi e degli obiettivi da raggiungere.
Si stima che in Italia l’incidenza dell’ADHD si aggiri intorno al 3-4% della popolazione in età evolutiva. E che la maggior parte di questi bambini (dal 30% al 50%) mantiene o ha una evoluzione dei sintomi fino all’età adulta. Inoltre nel 70-80% dei casi, l’ADHD si presenta in associazione con altre difficoltà che possono variare da disturbi oppositivi-provocatori, della condotta, disturbi specifici dell’apprendimento, disturbi d’ansia e altro, rendendo non semplice l’identificazione delle problematiche e di conseguenza l’inquadramento diagnostico.
Nonostante le difficoltà nella diagnosi precoce esistono degli indici che possono “predire” quali bambini in età prescolare sono maggiormente a rischio di un’eventuale insorgenza di una vera difficoltà. Di conseguenza risulta di fondamentale importanza identificare precocemente i sintomi al fine di ottenere una migliore prognosi.
Perché è importante agire nelle prime fasi dello sviluppo?
Un approccio di tipo preventivo presenta numerosi vantaggi, ad esempio:
- La possibilità di intervenire su difficoltà e problematicità a livello comportamentale che tenderebbero ad accentuarsi con il passare del tempo e divenire sempre più invalidanti;
- Riduzione della probabilità dell’insuccesso scolastico che tenderebbe ad abbassare il livello di autostima del bambino e l’instaurarsi di sentimenti di sfiducia personale, senso di inefficacia e scarsa motivazione allo studio;
- Promuovere un’azione educativa e un intervento sull’ambiente che sia efficacie e incisivo, che intervenga su più fronti.
Con l’ingresso a scuola, ai bambini viene chiesto un carico cognitivo e capacità di autoregolazione sempre maggiori.
La scuola, ma anche i genitori nel contesto famigliare, richiedono capacità di attenzione prolungata nel tempo, autoregolazione dei comportamenti e delle emozioni, comprensione delle consegne date a voce o per iscritto, capacità di passare velocemente da un compito all’altro, capacità di inibire i rumori di fondo e di non farsi distrarre da stimoli esterni ecc… e tutto questo nello stesso momento.
Infatti ai nostri bambini viene continuamente detto: “non ti distrarre”, “comportati bene”, “non fare il bambino piccolo”, “svolgi il compito”, in pratica viene chiesto di autoregolarsi in autonomia e di farlo efficacemente. Il problema è che nessuno insegna ai bambini come fare, e nessuno li aiuta e/o li assiste nel lungo percorso verso la regolazione autonoma dei loro comportamenti, dell’attenzione e dei loro stati emotivi.
Quali sono i possibili indicatori precoci dell’eventuale insorgenza dell’ADHD?
Molto spesso, i genitori di bambini con ADHD, descrivono i loro figli come bambini difficili fin dalla nascita, irritabili, con un pianto disperato e inconsolabile, difficoltà nell’alimentazione e del sonno.
Gli indicatori più precoci che possono infatti predire il rischio di insorgenza di difficoltà della regolazione comportamentale, emotiva e attentiva sembrano essere: disregolazione delle primissime funzioni innate e fisiologiche di base, in particolare del ritmo sonno-veglia, difficoltà nella regolazione dei pasti; eccessiva attivazione e irrequietezza motoria fin dalle primissime fasi dello sviluppo del bambino.
Il bambino con ADHD è infatti molto attivo, sebbene presenti intelligenza nella norma, i suoi comportamenti sembrano immaturi e infantili rispetto la sua età. Anche durante le situazioni di gioco, da solo o con altri, il bambino sembra irrequieto, cambia continuamente interesse, predilige giochi semplici e non strutturati, spesso il gioco è stereotipato e senza precisi scopi e obiettivi, è povero nel significato. A questo si associano successivamente, in particolare in concomitanza con l’ingresso a scuola, difficoltà a livello attentivo e delle funzioni esecutive, difficoltà nel seguire più indicazioni insieme e quindi problemi nella memoria di lavoro.
In particolare la letteratura degli ultimi anni ha evidenziato sempre più, l’importanza delle funzioni esecutive nello sviluppo cognitivo e di conseguenza, oltre che negli apprendimenti scolastici, anche nelle capacità di autoregolazione del comportamento; addirittura ritenendole maggiormente predittive del buon rendimento scolastico e del buon adattamento all’ambiente sociale, rispetto al classico quoziente intellettivo.
Come agiamo sulle problematiche rilevate nella prima infanzia?
Innanzitutto è necessario rilevare le aree di debolezza e i punti di forza del bambino attraverso una valutazione neuropsicologica completa, che comprenda approfondimenti specifici delle diverse funzioni cognitive, degli stati degli apprendimenti e dei prerequisiti, ma anche rilevazioni emotivo/comportamentali e relazionali nei diversi contesti di vita del bambino.
Dopodiché è possibile strutturare programmi individualizzati, che tengano conto del livello di partenza e degli obiettivi specifici da raggiungere per il singolo bambino. Partendo sempre, prima dal potenziamento dei prerequisiti e dalle abilità di base, quindi allenando il sistema attentivo, la memoria di lavoro e le capacità di autoregolazione. Per poi passare alle abilità più complesse.
È necessario inoltre attuare un intervento che rappresenti un approccio di tipo multimodale, che implica dunque il coinvolgimento dei diversi contesti di vita del bambino, scuola, famiglia e il bambino stesso. Per questo motivo gli obiettivi concordati tra terapeuta e genitori devono essere condivisi anche con gli insegnanti, e le attività che vengono proposte nella scuola devono tenere conto dei punti di forza ma anche delle debolezze dell’alunno, in modo da non sottoporre il bambino a compiti troppo semplici, che potrebbero creare noia e disattivazione attentiva, ma nemmeno compiti troppo elevati e richiestivi, che creerebbero nel bambino sentimenti di frustrazione e il manifestarsi di comportamenti problema all’interno della classe.
Parallelamente all’intervento cognitivo sul bambino, si interviene sul contesto ambientale, sulla famiglia e sulla scuola con lo scopo di migliorare i comportamenti emessi dal bambino stesso; diminuendo la frequenza dei comportamenti “problema” e aumentando invece i comportamenti di tipo adattivo. Le figure di riferimento, genitori e insegnanti, vengono istruite, attraverso dei percorsi di parent-training e teacher-training, a dare chiare istruzioni, a rinforzare positivamente i comportamenti positivi e ad estinguere quelli negativi e problematici, ad analizzare in modo efficacie e strutturato antecedenti e conseguenti del comportamento.
Il massimo beneficio si può ottenere grazie ad una forte cooperazione tra le diverse figure di riferimento, e lavorando insieme per obiettivi comuni.
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