Migliorare la qualità di vita dei Caregiver salvaguardando il loro benessere psicofisico e garantendo un ottimale livello d’assistenza dei pazienti con demenza.
Quando una persona a noi molto cara si ammala, viene spontaneo mettere in atto dei “comportamenti di accudimento”. Abbiamo lo scopo di farla sentire al sicuro, coccolata e amata, proprio nel momento in cui più si sente fragile. Spesso, questi comportamenti sono emessi proprio a causa dell’affetto che ci lega e che ci spinge a comportarci in questo modo.
Sin dagli anni ’90, la letteratura internazionale ha definito “caregiver” quella persona che si prende cura di un individuo con limitazioni dell’autonomia personale accorse in seguito ad una patologia cronica o a lunga remissione, in virtù di un legame affettivo e/o familiare.
(Pearling et al., 1990)
I caregiver di pazienti con demenza, una patologia con decorso lento, progressivo e cronico, svolgono questo ruolo per lunghi periodi di tempo, dedicando al proprio caro molte della propria giornata.
In Italia, circa l’80% delle persone colpite da demenza sono assistite a casa da familiari e, tra questi, sono soprattutto le donne (circa il 70% dei caregivers) ad essere maggiormente interessate al fenomeno (Marvardi et al., 2005).
Le ripercussioni che tale particolare compito comporta nella vita quotidiana possono essere devastanti sotto certi punti di vista. Soprattutto nelle fasi di malattia moderata/grave, le risorse richieste per accudire il proprio caro aumentano esponenzialmente.
Tale specifica condizione prende il nome di “burden”, parola che sta ad indicare il sovraccarico emotivo e fisico esperito dal caregiver.
(Shewchunk & Elliot, 2000)
Non di rado, infatti, si presentano periodi particolarmente stressanti, in cui le ore dedicate al proprio caro sono numerose. Al crescere del carico assistenziale richiesto per sopperire alle difficoltà del malato (vestirsi, lavarsi, mangiare), i caregiver lamentano livelli di fatica e stanchezza paragonabili a quelli riportati dai pazienti oncologici (Clark, 2002). Tali sintomi, impattano negativamente anche sulle relazioni interpersonali, contribuendo all’isolamento sociale del nucleo familiare.
Inoltre, frequentemente, i caregiver sviluppano sintomatologie ansioso-depressive. Queste sono correlate all’insorgenza della patologia dementigena del proprio caro, associato ad un progressivo peggioramento della salute fisica (Luchetti et al., , 2007).
Migliorare la qualità della vita dei caregiver è un obiettivo di primaria importanza. Bisogna, infatti, salvaguardare il benessere psicofisico di questi soggetti, ma anche garantire un ottimale livello di assistenza dei pazienti con demenza. Tutto ciò è necessario per mantenere una buona relazione tra caregiver e paziente, oltre che per ovviare ai precoci fenomeni di istituzionalizzazioni dei pazienti.
Il 73% degli anziani con demenza sono assistiti da familiari nelle proprie abitazioni (Wimo et al., 2007) e, come appena descritto, il carico assistenziale richiesto cresce esponenzialmente al progredire della malattia. Per questi motivi sono stati sviluppati interventi di sostegno e supporto sia al caregiver che al paziente affetto da demenza che prendono il nome di “interventi protesici”.
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ADDESTRAMENTO DEL CAREGIVER O FAMILIARE ALL’ASSISTENZA