Vediamo insieme come agire d’anticipo per ridurre le possibili difficoltà nell’apprendimento scolastico e prevenire il rischio DSA nei bambini fin dai primi anni di scuola.

 

Sono moltissimi i bambini che pur essendo intelligenti, presentano una qualsiasi difficoltà negli apprendimenti scolastici nei primi anni della scuola primaria, in particolare presentano difficoltà nell’automatizzazione della lettura e/o della scrittura, e/o del calcolo. Queste difficoltà riguardano circa il 5% della popolazione scolastica; e dalla fine della 2° elementare (per lettura e scrittura, mentre per il calcolo dalla 3° elementare), vengono diagnosticati come DSA, ovvero bambini che presentano deficit specifici in qualche abilità appresa.

Ma molti altri, circa il 10-15%, pur non presentando l’etichetta diagnostica, e avendo quoziente intellettivo nella norma, presentano scarso rendimento, o incontrano nel loro percorso formativo delle difficoltà, di qualsiasi genere, tali da interferire con il successo e la performance scolastica, ma anche con la motivazione ad imparare; vivendo di conseguenza sentimenti negativi e il rifiuto verso la scuola; ma anche scarsa autostima e, in alcuni casi precoce abbandono scolastico.

Come detto in precedenza, un alunno DSA viene diagnosticato solo dopo l’ingresso nella scuola primaria, quando le eventuali difficoltà interferiscono in modo significativo con gli obiettivi didattici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, scrittura e calcolo. Tuttavia, già durante la scuola dell’infanzia il genitore e l’insegnante possono rilevare l’emergere di difficoltà più globali, ascrivibili e predittive, in qualche modo, delle difficoltà negli apprendimenti didattici.

Quali sono i possibili indicatori precoci dell’eventuale insorgenza della difficoltà di apprendimento scolastico?

Gli indicatori più precoci (dai 3 ai 5 anni) del rischio di insorgenza di difficoltà nei successivi apprendimenti scolastici sembrano essere difficoltà linguistiche, inteso come povertà lessicale e tardo sviluppo del linguaggio, difficoltà grafo-motorie, a cui si associano difficoltà a livello attentivo e delle funzioni esecutive, difficoltà nel seguire più indicazioni insieme e quindi problemi nella memoria di lavoro, difficoltà di orientamento e di integrazione spazio-temporale, difficoltà nel ricordo delle sequenze e nel mantenere i ritmi, difficoltà di coordinazione motoria e  oculo-manuale, dominanza laterale tardiva o non adeguatamente acquisita, difficoltà nella discriminazione e memorizzazione visiva, difficoltà nell’esecuzione autonoma delle attività di vita quotidiana.

In particolare la letteratura degli ultimi anni ha evidenziato sempre più, l’importanza delle funzioni esecutive nello sviluppo cognitivo e di conseguenza negli apprendimenti curriculari scolastici, addirittura ritenendole maggiormente predittive del buon rendimento scolastico rispetto al classico quoziente intellettivo (Benso et al. 2016).

Perché è importante agire nelle prime fasi dello sviluppo?

Con la fine della scuola dell’infanzia e l’inizio della scuola primaria, ai bambini viene chiesto un carico cognitivo progressivamente crescente. Dovranno infatti, investire maggiori risorse per acquisire, apprendere ed automatizzare i processi di lettura, scrittura e calcolo. Solo con un sistema attentivo forte, abilità cognitive e prerequisiti adeguati potranno affrontare e superare efficacemente eventuali ostacoli, che si presentano durante il “normale” processo di automatizzazione degli apprendimenti.

In realtà, dagli studi sappiamo che, anche dopo aver acquisito e automatizzato tali abilità ci sarà bisogno di un certo grado di allenamento, per continuare a mantenerle efficienti. Ad esempio, anche un musicista esperto per mantenere un certo grado di automaticità ed efficienza, dovrà allenarsi tutti i giorni su quel brano. E questo vale per qualsiasi abilità appresa. Così come per gli apprendimenti scolastici complessi; essi necessitano infatti di essere ripresi più volte e sostenuti da risorse attentive specifiche. Quindi accanto al lavoro su “moduli” superiori specifici (nei prerequisiti ad esempio, o nella lettura), è necessario allenare queste risorse attentive appunto.

Ma niente paura, la bella notizia è che queste risorse, seppur limitate in termini di capacità, sono allenabili. Ed è bene potenziarle, sia in quei bambini che presentano una debolezza o un disturbo del sistema esecutivo attentivo, e che hanno quindi poche o mal riposte energie a disposizione degli apprendimenti scolastici; ma anche a chi quotidianamente, è sottoposto a carichi cognitivi e richieste sempre maggiori, a scuola, nello sport, nel lavoro ecc…  

Siamo dunque partiti da queste basi teoriche, per sviluppare programmi e attività finalizzate al potenziamento/stimolazione dei processi che sostengono e supportano le abilità cognitive di base; ovvero la memoria di lavoro, capacità di avvio, capacità attentive e autoregolative, flessibilità cognitiva; già prima dell’ingresso alla scuola primaria. In modo che l’intervento non sia solo riabilitativo, ma anche preventivo.

Si intende chiarire che la possibilità di allenare precocemente le abilità di base e i prerequisiti dell’apprendimento non azzera e/o elimina eventuali disturbi, ma permette di sfruttare al massimo le risorse del bambino e far vivere con più serenità e maggior benessere emotivo l’apprendimento scolastico, oltre a far aumentare il suo senso di autoefficacia e il livello di autostima.

Come agiamo sulle problematiche rilevate nella prima infanzia?

Innanzitutto è necessario rilevare il livello di partenza del bambino, le possibili aree di debolezza, ma anche le potenzialità e i punti di forza del bambino stesso; attraverso una valutazione neuropsicologica completa, che comprenda quindi approfondimenti specifici delle diverse funzioni cognitive, degli stati degli apprendimenti o dei prerequisiti, ma anche rilevazioni emotivo/comportamentali e relazionali nei diversi contesti di vita, famigliare e scolastico. 

Dopodiché si passa all’azione! Strutturando specifici programmi individualizzati, che tengano conto appunto, del livello di partenza, punti di forza e debolezze, oltre che degli obiettivi specifici da raggiungere per il singolo bambino. Partendo sempre, prima da potenziamento dei prerequisiti e delle abilità di base, quindi allenando il sistema attentivo, la memoria di lavoro e le capacità di autoregolazione. Per poi passare alle abilità più complesse.

Anche se all’inizio il trattamento può, e dovrebbe essere intensivo, specialmente quando si interviene sui processi attentivi-esecutivi di base, il solo intervento clinico (l’ora di trattamento in studio) potrebbe non essere sufficiente, se poi non corrisponde alle richieste scolastiche e quotidiane. È necessario dunque il coinvolgimento dei diversi contesti di vita del bambino. Per questo motivo gli obiettivi didattici ed extra-scolastici devono essere condivisi anche con gli insegnanti, e le attività che vengono proposte nella scuola dell’infanzia e alla primaria devono tenere conto delle effettive capacità dell’alunno, in modo da non sottoporre il bambino a compiti troppo semplici, che potrebbero, di conseguenza creare noia e disattivazione attentiva; ma nemmeno compiti troppo elevati e richiestivi, che creerebbero nel bambino, sentimenti di frustrazione verso l’apprendimento stesso. 

Successivamente si verifica il livello di abilità ed automaticità raggiunto dal bambino nelle diverse funzioni potenziate ed allenate, in modo da verificarne gli esiti e individuare i nuovi obiettivi di trattamento.

Tutto questo all’interno di un ottica neuropsicologica; tale per cui, qualsiasi cambiamento comportamentale deve derivare ed essere supportato, anche da un cambiamento strutturale (all’interno del cervello quindi), che porta di conseguenza alla massima generalizzazione delle abilità acquisite.

 

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