La Scienza del Biofeedback

Le informazioni biologiche del corpo umano, derivate dai suoi processi naturali, possono arrivare da diverse fonti: dalla pelle, dai muscoli, dagli organi e dal tessuto nervoso.

Negli ultimi 100 anni le tecnologie si sono evolute e ci permettono di raccogliere in maniera molto accurata le informazioni su questi processi organici.

In particolare, i metodi di biofeedback più comuni includono l’uso di strumenti che misurano la frequenza cardiaca e la sua variabilità, la conduttanza e la temperatura della pelle e la respirazione, e includono tecnologie che analizzano le attività del cervello e di altri processi altrimenti invisibili ad occhio nudo.

Il corpo umano è protagonista di innumerevoli processi che sono sempre in movimento e che apportano aggiustamenti fisiologici in risposta ai cambiamenti sia nell’ambiente che nella posizione del corpo.

Questa oggi è una conoscenza acclarata ma non è sempre stata riconosciuta dai biologi. Le cose sono cambiate quando sono avvenute alcune importanti scoperte nella biologia umana. Prima del 1900, e fino a un certo punto ancora oggi, la biologia moderna si basava sulla fisica di Isaac Newton e sulla assunzione che il corpo umano operasse esclusivamente come una macchina.

In una macchina, ogni parte ha la sua funzione e queste funzioni possono essere sommate per svolgere funzioni più complicate.

Seguendo questa metafora del corpo umano come macchina, si potrebbe paragonare il cuore umano che pompa il sangue con la pompa di benzina che spinge il carburante nel serbatoio di un’auto.

Ma il cuore è più sofisticato di una pompa.

Un cuore “in pace” apporta piccoli cambiamenti nel sistema fisiologico umano, e sono cambiamenti che non sono percettibili. Ma un forte e improvviso rumore fa aumentare la frequenza cardiaca anche prima di essere consapevoli del suono. Anche un semplice giro in auto attraverso la città può generare numerosi cambiamenti della frequenza cardiaca: si può ascoltare la radio, assistere ad una collisione mancata o controllare, con preoccupazione, il tachimetro quando passa un agente di polizia.

Ognuno di questi eventi avvia piccoli cambiamenti nella frequenza cardiaca ma anche nel sistema gastrointestinale, nella termoregolazione, nella digestione e nella concentrazione cognitiva, ognuno con i propri cambiamenti momento per momento.

Fortunatamente, dall’inizio del XX secolo molti biologi si sono resi conto che nel corpo umano c’è molto di più di semplici operazioni meccaniche.

Il corpo umano non è solo reattivo come le parti di una macchina è anche e soprattutto interattivo. La risposta corporea all’ambiente è reciproca.

Prendiamo come esempio il “riflesso del tendine rotuleo”: si tratta di quella procedura usata in un esame medico di routine, in cui il dottore batte sul ginocchio rilassato del paziente. Colpendo il tendine rotuleo rilassato, i quadricipiti del paziente si contraggono e la gamba si estende automaticamente. Un colpo al tendine provoca la contrazione muscolare. Sebbene questo possa sembrare un evento di tipo meccanico e costante, in realtà cambia a seconda di diverse variabili tra cui la posizione dell’arto, il comportamento del resto dell’organismo e la necessità o meno di prestare attenzione ad esso. Un certo tipo di attenzione diminuisce la risposta, un altro tipo la esagera, e così via.

Quando gli scienziati della seconda metà del XX secolo hanno cominciato a sentirsi a proprio agio con l’idea che il corpo umano sia un processo dinamico e interattivo, anche le loro idee su cosa significhi essere una persona hanno iniziato ad espandersi. Ed è a questo punto la biologia, la biofisica, la psicologia, l’informatica, la medicina integrativa e la filosofia cominciano integrarsi verso un’unica scienza.

I fondamenti del biofeedback

Gli esseri umani si affidano ad una serie di processi corporei per svolgere compiti semplici come lo stare in equilibrio o in posizione eretta. Si affidano ai molti muscoli delle gambe, fianchi e addome, così come ai circuiti di feedback del sistema nervoso chiamati vie afferenti ed efferenti, che lavorano trasmettendo e ricevendo i segnali nervosi in entrata e in uscita: si tratta di un “gioco” tra feedback percettivi e vestibolari che fa sì che il corpo umano riesca a stare in equilibrio o in posizione eretta. L’impatto che la percezione visiva ha per l’equilibrio può essere descritto come il trovarsi al carnevale di Rio mentre si sta in equilibrio su un ponte e tutto gira attorno vorticosamente.

Se proviamo ad osservare un bambino che tenta di stare in piedi o di camminare, possiamo notare come questi meccanismi interni di feedback non siano facilmente controllabili. Ci vogliono molti mesi prima che il neonato tenga la testa eretta perpendicolarmente senza che questa si muova.

Nella nostra routine quotidiana, siamo così abituati a usare questi circuiti di feedback biologico che nemmeno ce ne accorgiamo. Ci tornano in mente ogni volta che un certo livello di alcol nel sangue o un attacco di vertigini ci danno la sensazione che la stanza gira.

Il feedback di questo tipo non è limitato ai processi biologici e neurologici interni. Impariamo anche a interpretare le informazioni dal nostro ambiente, integrandolo nella consapevolezza di noi stessi nello spazio. Quando si guida una nuova auto per la prima volta, abbiamo bisogno di un po’ di tempo per capire e aggiustare la posizione perfetta degli specchietti, la reattività del pedale del freno e la posizione del punto di attrito della frizione, prima di farci l’abitudine. Ad esempio la prima volta che ci si avvicina ad  uno stop si potrebbe avere la sensazione che non si sta rallentando abbastanza velocemente e finire per spingere il pedale fino in fondo, di colpo. Dopo aver interagito un po’ con l’auto nuova e con il funzionamento dei suoi freni, si comincerà ad usarli con attenzione sempre meno consapevole, e alla fine li si ignorerà completamente. E’ in questo modo che l’auto diventa un po’ un’estensione del guidatore.

Importanti feedback vengono trasmessi internamente, attraverso il corpo, ed esternamente, attraverso l’interazione con l’ambiente. La procedura clinica del biofeedback combina questi due tipi di feedback per prima cosa esternalizzando il segnale di feedback interno e amplificandolo attraverso una parte della sua tecnologia, prima di riproporla alla persona in modo che possa essere reintegrata all’interno di un sistema di miglioramento della consapevolezza del proprio funzionamento mentale e fisiologico così come di un suo addestramento.

Ad esempio, il cervello produce diversi modelli di lunghezza d’onda in veglia e quando si dorme. Questi modelli d’onda possono essere misurati da una macchina elettroencefalografica (EEG). Le onde cerebrali emesse durante il sonno possono indicare periodi di irrequietezza durante la notte o periodi di sonno profondo/ superficiale e possono essere utili nella diagnosi di disturbi del sonno o nella diagnosi di epilessia così come l’attività in veglia è un indicatore di potenziale rimuginio depressivo, deficit di attenzione, ecc.. Possiamo ottenere queste informazioni biologiche solo una volta che sono esternalizzate e amplificate da un sensore EEG verso un trasduttore e dunque un sistema che presenta il segnale in modo comprensibile per essere oggetto di intervento di addestramento. Con il neurofeedback (biofeedback basato sull’analisi delle onde cerebrali) le informazioni disponibili possono essere reintegrate nelle abitudini del sonno del paziente e può essere sviluppata una nuova, forse più riposante, abitudine al sonno, così come può ridurre la frequenza o intensità di crisi epilettiche, o migliorare la concentrazione.

Integrazione del biofeedback nella vita quotidiana

E’ possibile beneficiare della tecnologia di biofeedback per affrontare diversi disturbi e patologie correlate con anomalie elettroencefalografiche o con l’eccessiva eccitazione del sistema nervoso autonomo per un maggior benessere e salute mentale.